Non sono la tua Conchita
Regina del flamenco, specialista della paella, umile devota sempre vestita di nero: lo stereotipo di Conchita, la collaboratrice domestica spagnola in Francia, è tutto questo e molto di più.
Ciao!
Questa è Ibérica – Una finestra sull’altra penisola, la newsletter che una volta a settimana ti porta in Spagna e Portogallo senza prendere l’aereo.
Nelle puntate precedenti: un bagno che esiste è un bagno che resiste e non il solito articolo sul turismo di massa a Barcellona.
In questa: negli ultimi mesi io e
, autore della newsletter burrosalato, abbiamo lavorato a una serie di newsletter sulla diaspora iberica in Francia.Lo scorso martedì è uscita la prima parte del progetto, dedicata all’emigrazione portoghese: puoi leggerla qui. Oggi invece io ti parlo di quella spagnola, concentrandomi sui sogni di emancipazione delle emigrate e degli stereotipi che hanno dovuto affrontare una volta arrivate a Parigi.
Iniziamo!
Non sono la tua Conchita
“Oggi il pensiero può farci sorridere, ma prima di partire pensavamo davvero che lì ci sarebbe bastato raccogliere i soldi da terra. E se ci avessero detto che lì gli asini volavano, ci avremmo creduto”.
A dirlo è Antonio F. Ferreirúa, uno dei tanti emigrati spagnoli in Francia durante la seconda metà del Novecento. “Ho sentito dire che a Parigi i soldi crescevano sugli alberi. Anche se non ci credevo fino in fondo, era un’idea che avevo sempre in testa”, ha aggiunto.
La testimonianza di Antonio, raccolta dallo studioso Bruno Tur, non è l’eccezione, anzi: è la regola.
Durante il franchismo, Parigi era soprattutto una città immaginaria, plasmata dal glamour dei film e dei giornali epurati dalla censura e dai racconti fantasiosi degli emigrati che tornavano in Spagna durante l’estate. Una città bella, ricca, grande, dove tutto era possibile.
Un immaginario che faceva presa sugli uomini, certo, ma anche sulle donne, che nella capitale francese vedevano una possibilità di emancipazione che la dittatura soffocava in Spagna.
Per quelle che riusciranno a raggiungerla, il confronto con la realtà sarà feroce, e non solo per le condizioni di lavoro in sé. A ferirle sarà anche uno stereotipo che sopravvive tuttora: quello di Conchita.

Questa storia inizia nei primi anni del Novecento, a causa dell’aumento dei prezzi causati dalla Prima guerra mondiale, e continua dopo la fine della guerra civile spagnola (1936-39), quando circa 500mila persone scelgono l’esilio al posto della vita sotto il regime di Francisco Franco.
Già durante queste due prime ondate migratorie iniziano ad affermarsi i primi pregiudizi: il demografo Georges Mauco spiega ad esempio che la popolazione spagnola in Francia si caratterizzava per “la sua indolenza, il suo nomadismo e la mancanza di igiene”, oltre che per il suo alto tasso di analfabetismo.
Questi stereotipi si diffondono ed evolvono soprattutto a partire dagli anni Cinquanta, quando Franco abbandona il sogno dell’autarchia (ma solo dopo aver provocato una carestia che portò alla morte circa 200mila persone).
“La Spagna franchista se la cava perché ascolta gli americani che dicono loro di aprirsi al turismo e di lasciare emigrare chiunque voglia. Poi, la Spagna si svuota delle persone povere che vanno nel Nord Europa o nel resto del Mediterraneo”, ha spiegato infatti il ricercatore Joan Buades in questa intervista.
E come avevo raccontato in questo numero di Ibérica dedicato alle radici del turismo di massa in Spagna:
“Dopo il turismo, sono queste persone a dare vita al “miracolo” economico spagnolo: è grazie ai soldi che inviano dall’estero, soprattutto dalla Francia e dalla Germania, che la Spagna può ripartire.”
Ma questo “miracolo” avviene, in realtà, a spese della sofferenza di migliaia di persone. Si stima infatti che tra gli anni Cinquanta e Sessanta circa 600mila spagnoli e spagnole emigrano in Francia, alcuni in maniera legale e altri no.
Alcuni a bordo dei cosiddetti “nuovi treni di Auschwitz”: vagoni stipati di gente che portano i contadini a lavorare nei campi di riso o nei vigneti francesi. “Molti erano treni di legno, senza acqua né luce. Il viaggio era lunghissimo e molte persone morivano prima di arrivare a destinazione”, si legge in un reportage della rivista Interviù del 1977.
Alcune, e il femminile è voluto, partono invece alla volta di Parigi. Sole, ma in compagnia di molte altre donne: negli anni Sessanta, la percentuale di emigrate rappresentava circa il 44% del totale.
Lo fanno per motivi economici, certo, ma per la prima volta anche per altre ragioni, come racconta la studiosa Laura Oso: realizzare “un progetto di indipendenza personale rispetto al loro contesto familiare o sociale, fuggendo da una delusione d’amore, per spirito di avventura o per il richiamo del glamour”.
Questa nuova emigrazione femminile lascia un segno nella storia comune della Francia e della Spagna: è così infatti che inizia l’epoca delle chachas.
A Parigi, le chachas (diminutivo di muchachas, ragazze in spagnolo) trovano spesso lavoro come domestiche e abitano nelle caratteristiche chambres de bonne parigine, ovvero nelle piccole mansarde dei palazzi in cui abita l’alta borghesia della città.
È lì che, per la prima volta, sono davvero indipendenti: vivono nella stessa casa dove lavorano, ma hanno un accesso riservato e molta privacy nelle loro chambras (termine a metà tra lo spagnolo e il francese con cui le emigrate si riferivano alle loro abitazioni).
Altre trovano invece lavoro come portinaie e sommano a questa occupazione altri lavoretti che formano il lessico della diaspora spagnola a Parigi: si occupano della pulizia dei burones (da bureau, ufficio in francese) e delle pubelas (da poubelle, spazzatura in francese), ovvero della pulizia della scale e dei cestini della spazzatura nei condomini senza portineria.
È in questa fase che la mentalità spesso molto religiosa e campagnola delle emigrate, alcune nate e cresciute durante la dittatura, si scontra con quella della società francese, che con il ‘68 invece attraversa una profonda rivoluzione sociale e dei costumi.
Il risultato? Nasce Conchita, un termine collettivo che designa tutte le collaboratrici domestiche spagnole dell’epoca (diminutivo del nome Concepción).


Regina del flamenco, specialista della paella, umile devota sempre vestita di nero: Conchita è tutto questo e molto di più.
È la protagonista di numerosi manuali di auto-aiuto, nei quali appare come una giovane incredula davanti alla modernità degli appartamenti parigini e incapace di parlare francese in maniera corretta (al punto che i manuali suggeriscono alle casalinghe parigine di imparare lo spagnolo, considerata una lingua inferiore, meno ricca del francese, e quindi accessibile).
Il giornalista Philippe Bouvard, nel suo manuale Madame n'est pas servie. Dictionnaire des patrons et des domestiques (La signora non è servita. Dizionario per padroni e domestiche), arriva a definire il flamenco “il modo che hanno le domestiche spagnole di colpire con i piedi il pavimento per dimostrare il loro scontento”.
Lo stesso stereotipo si propaga di canzoni come Les dimanches de Conchita, Oh ! La-la-la Conchita, la Madam’ e Conchita, c’est moi: Conchita è una bigotta che trascorre le sue domeniche libere prima in chiesa e poi a ingozzarsi, giocare a carte e amoreggiare con il suo Manolo “l’andaluso tenebroso”.
(Se Conchita era la buona domestica, l’uomo spagnolo era una sorta di Don Giovanni dell’edilizia, un muratore prestante).

Con il passare del tempo, Conchita diventa il volto di numerose pubblicità di prodotti per la pulizia domestica (e appare persino nei fumetti di Asterix e Obelix).
E poi “all’immagine dello spagnolo buono ma un po’ stupido proveniente da una Spagna tradizionalista e arretrata rispetto al resto dei Paesi, si sovrappone un’immagine globalmente positiva”, spiega Bruno Tur, complice anche la caduta del franchismo e l’entrata della Spagna nell’Unione europea.
Oggi, l’immaginario della chacha spagnola persiste ancora e contribuisce non solo in Francia, ma anche in altri Paesi europei, allo stereotipo della donna iberica, a metà tra una ballerina di flamenco da cartolina e una casalinga accaldata tra ventagli, vestiti a pois e gazpacho.
Nel frattempo, anche i rapporti tra Spagna e Francia sono cambiati. Dal 2021, i membri della diaspora possono ottenere la doppia nazionalità spagnola e francese, un’eccezione che prima era riservata solo alle persone di origine spagnola nate in America latina.
E anche i numeri non sono più quelli di una volta, anche se il primato spagnolo resta inalterato: oggi in Francia vivono infatti circa 275mila spagnoli, mentre in Spagna i francesi sono circa 125mila, ovvero meno della metà.
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La nuova “eccezione iberica”: negli ultimi giorni, tutti i leader dei Paesi della NATO si sono accordati per aumentare le spese militari al 5% entro il 2035, tranne il primo ministro spagnolo Pedro Sánchez (che si ferma al 2,1%). Una decisione che serve sia a distogliere l’attenzione dallo scandalo in corso nel suo partito che per a contenti i suoi alleati di governo (il partito di sinistra Sumar). La scelta ha scatenato l’ira di Donald Trump, che ha promesso nuovi dazi alla Spagna (unico problema: nell’UE, i dazi sono a livello europeo, non nazionale).
In Portogallo, a metà giugno le forze di sicurezza hanno smantellato il Movimento Armilar Lusitano, un gruppo neonazista paramilitare attivo dal 2018 con ramificazioni nelle forze di polizia e nelle imprese private di sicurezza. Le autorità hanno individuato circa 900 affiliati attivi in diversi territori. Non si tratta di un episodio isolato: pochi giorni prima, a Lisbona, l’attore Adérito Lopes è stato aggredito da membri del gruppo neonazista internazionale Blood & Honour, mentre a Porto due volontarie di una ONG sono state picchiate da altri neonazisti. La Commissione Europea contro il Razzismo e l’Intolleranza ha lanciato un avvertimento ufficiale, denunciando l’aumento dei discorsi d’odio e sollecitando il governo a rafforzare gli strumenti legali contro questi reati.
Il governo spagnolo ha diffuso i risultati di una nuova indagine sulle cause del blackout dello scorso 28 aprile: i principali responsabili sarebbero Red Eléctrica, la società che gestisce la distribuzione dell’energia elettrica a livello nazionale, e le società produttrici di energia, da cui Red Eléctrica si serve. L’ipotesi è che Red Eléctrica abbia fatto un errore di programmazione, non sostituendo una delle dieci centrali da usare in caso di sovraccarico e che quel giorno non sarebbe stata operativa con un’altra. Quando il sovraccarico è avvenuto, però, neanche le altre nove centrali hanno risposto come previsto.
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A presto,
Roberta
Ciao Roberta, il titolo di questa newsletter mi ha colpito perché "Concha", protagonista del romanzo di fine ottocento "La femme et le pantin" (La donna e il burattino) è uno dei personaggi che ho analizzato tantissimi anni fa nella mia tesi di laurea! Non so se conosci questo romanzo francese: si ispira un po' al quadro El pelele di Goya. "Concha" in questo caso è una femme fatale, bella, intelligente e manipolatrice. Ne è passata di acqua sotto i ponti per arrivare alla Concha collaboratrice domestica, anche se tutto è collegato: il rapporto complesso tra Francia e Spagna ha una storia lunga di dominazione-seduzione-repulsione reciproca che attraversa i secoli. Chissà, magari ne potremo parlare per un'altra puntata. P.S. Molto interessanti quei manuali ad uso di chi impiegava delle domestiche spagnole, non li conoscevo!
Che ci siano pochi francesi in Spagna è un bene. Sono tutti in Portogallo, dove in certe città ci son interi quartieri colonizzati da questi cittadini stranieri che vivono una vita parallela, e tra loro. Non parlano portoghese, non si interfacciano con i nativi, vanno nei “loro”‘ristoranti (molti), mandano i figli alla scuola francese, vivono in due quartieri che andandoci sembra di essere a Parigi, tra bar a vin tutti uguali con vini naturali, boulangeries tutte uguali, ed expat tutti uguali, che cercano la loro Costa Azzurra in terra lusitana.