Voci d'aprile
Un'intervista, una playlist e una newsletter per festeggiare i 50 anni dalla Rivoluzione dei garofani in Portogallo
Ciao!
Questa è un’edizione speciale di Ibérica – Una finestra sull’altra penisola, la newsletter che una volta a settimana ti porta in Spagna e Portogallo, senza bisogno di prendere l’aereo.
Di solito ti scrivo il venerdì, ma oggi ho voluto fare un’eccezione per festeggiare insieme il cinquantesimo anniversario della Rivoluzione dei garofani in Portogallo.
Per farlo, ho chiesto al giornalista Daniele Coltrinari (che hai già incontrato qui) di intervistare Gianfranco Ferraro, ricercatore al Centro di Studi Globali dell’Universidade Aberta di Lisbona e autore di Voci d’aprile in Portogallo, un volume in uscita per Edizioni ETS che raccoglie le testimonianze orali di chi ha fatto, a modo suo, il 25 aprile 1974.
Il tempo passa e sempre meno persone possono continuare a raccontarci cos’è stato quel giorno, per loro e per la storia del Portogallo. Ecco perché questo libro mi è sembrato da subito così importante: dopo l’intervista potrai leggerne anche un piccolo estratto.
La newsletter si conclude poi con un paio di consigli di ascolto e di lettura: se il tema ti appassiona, puoi recuperare anche l’edizione speciale dell’anno scorso.
Iniziamo!
Un’intervista
Daniele: Com’è nata l’idea di scrivere questo libro?
Gianfranco: La libertà è l’arte di non essere governati, come direbbe Michel Foucault: ha a che vedere con noi stessi, con il modo con cui ci riflettiamo, come su uno specchio, nella nostra interiorità.
Dunque, questo libro cerca una risposta alla domanda filosofica: perché, dopo quarant’anni e passa di dittatura, il popolo portoghese sceglie nel 1974 di “non essere più governato” in quel modo, unendosi a un’operazione militare, l’operazione “Fim de regime”, che rovescia il governo di Marcelo Caetano?
In questa domanda c’è poi la particolarità della rivoluzione portoghese, che nasce da un golpe, ricordiamolo, che ha parole d’ordine opposte a quelle di altre operazioni militari che negli stessi anni – pensiamo al Brasile, alla Grecia, all’Argentina, al Cile – portavano al governo nuovi fascismi e nuove repressioni.
Ho voluto approfittare del fatto che molti dei protagonisti di questa vicenda siano ancora in vita: incontrarli, dare loro voce, cercando di ricostruire i fatti attraverso la loro narrazione e, confrontandomi anche con i tanti studi pubblicati dai colleghi storici, mi ha permesso di mettere a fuoco episodi anche minori, su cui ci sono e continuano a esserci versioni contrastanti.
Quello che mi ha colpito è il modo con cui le vite di queste persone, a volte diversissime tra di loro, si sono andate a volte inconsapevolmente intrecciando. Troviamo persone già politicizzate e persone che non sapevano nulla di politica: tra le prime – addirittura dentro la stessa Postazione di comando della Pontinha, che ha guidato le operazioni – abbiamo monarchici, cattolici, socialisti...
Spesso ognuna di queste persone, dopo il 25 aprile, ha preso strade diverse, eppure in quel punto le loro biografie si sono riunite. E nessuno, nessuno, neanche Otelo, il grande e riconosciuto comandante operativo, neanche il giovane capitano Salgueiro Maia, hanno tutto sotto controllo.
C’è qualcosa di universale, lo penso davvero, nella Rivoluzione dei Garofani, ma lo capisci guardando agli inciampi, ai cambiamenti di prospettiva che spesso non hanno peso nelle pagine di storia: dove poteva andare in un modo, se solo si fosse premuto un grilletto, e invece no. Ecco, volevo che emergessero i tanti “no” che in quel momento sono stati detti e che poi hanno reso il 25 Aprile portoghese un paradigma di rivoluzione “pacifica”.
È questo il senso storico di questo libro: è vero che parla di loro, ma parla a noi, tutti. Manuel Antunes, un grande portoghese e gesuita, affermò che ci sono nella storia dei popoli “momenti in cui si colloca il dilemma radicale: o rinascere o morire; o conversione ad un’altra maniera di essere e a una maniera di essere altrimenti, o sparizioni nella necrosi”. Ora, se una “conversione” di un’intero popolo c’è stata, in che modo possiamo ascoltarla ancora adesso? Mi sono messo in ascolto: a quale “conversione”, spirituale, politica, ci chiama ancora oggi la Rivoluzione dei Garofani? Finché ce lo chiediamo, il “25 aprile” continua ad interrogarci. Io lavoro per questo.
Cosa è stato il 25 aprile 1974 per il Portogallo?
Nel 1974 il Portogallo è un Paese in guerra da dodici anni ed è ancora un Paese che si estende su tre continenti. È un Paese con la più lunga dittatura della storia e anche con la più lunga storia di colonizzazione: è una nazione piccola, povera, ma con una proiezione globale.
Le tre guerre coloniali che il Portogallo comincia a combattere in Guinea Bissau, in Angola e Mozambico sono combattute innanzitutto dalle sue elites per mantenere una posizione di privilegio, fuori, nelle colonie, ma anche dentro, governando col pugno di ferro, silenziando e reprimendo attraverso la polizia politica (la PIDE) le libertà politiche e sociali.
Ora, una guerra che all’inizio sembrava dover finire in poco tempo assume pian piano dei contorni sempre più pesanti, in termini di costi umani e civili: i “ribelli” cominciano ad essere sostenuti in modo sempre più massiccio dai Paesi del Patto di Varsavia e, anche in Occidente, le pressioni sociali degli anni Sessanta e Settanta rendono sempre più difficile giustificare in nome dell’anticomunismo il sostegno all’amico dittatore Salazar.
Nel 1968, quest’ultimo viene colpito da un ictus e con l’arrivo al potere di un professore di diritto interno al regime, Marcelo Caetano, sembrano aprirsi degli spiragli di libertà (è la “primavera marcelista”).
A differenza di Salazar, Caetano ritiene che il regime debba adeguarsi lentamente a standard più vicini alle democrazie liberali. Sa anche che la guerra non può durare in eterno e che la colonizzazione è una forma ormai antiquata di espropriazione delle risorse altrui: del resto, alcuni componenti dello stesso regime e soprattutto alcuni alti graduati dell’esercito, il generale Spínola ad esempio, futuro presidente della Repubblica del Portogallo post-rivoluzionario, spingono verso una soluzione all’inglese, proponendo la trasformazione dell’impero in una sorta di Commonwealth portoghese.
Ma Caetano non ha la forza politica di spingersi fin lì: la guerra continua e nel 1973 la necessità di trovare nuovi quadri dell’esercito spinge il governo a equiparare gli ufficiali di carriera, che hanno cioè fatto l’accademia, ai miliziani. È questa la scintilla che, soprattutto in Guinea, dove la guerra morde più ferocemente, scoppia su un terreno già minato: gli ufficiali di carriera vedono minato il proprio riconoscimento sociale e cominciano a fare delle riunioni, sottoscrivendo delle petizioni corporative.
Il 25 aprile nasce in Guinea, dico nel libro: anche se la storia non si fa con i se, difficilmente si sarebbe arrivati allo scontro del 25 aprile senza l’accanimento del regime nel continuare la guerra. Le rivendicazioni politiche arrivano lentamente, nel corso di riunioni segrete tra i militari che rientrano dalle missioni, e arrivano anche grazie al fatto che gli ufficiali sono anche una elite colta in un Paese ancora semianalfabeta: hanno studiato e durante la guerra hanno cominciato a leggere i testi di riferimento dei guerriglieri che dovevano combattere, intellettuali e politici del calibro di Agostinho Neto o Amílcar Cabral. Sono i militari, soprattutto quelli di Marina, che necessariamente viaggiano, in Francia, in Italia, negli Stati Uniti, e tornando vedono un Paese che per loro non ha più senso.
A un certo punto si chiedono come cambiare le cose e chi ha la forza per farlo. E quando capiscono che hanno loro questa forza, e che devono usarla, lì nasce il nuovo sovrano, il Movimento dei Capitani, poi Movimento delle Forze Armate.
Un sovrano pro-tempore però: una delle “regole” condivise quasi da tutti i partecipanti sarà sempre quella di restituire la sovranità al popolo. Poi, certo, quella del 25 aprile non è solo la storia di queste élites, ma anche dei movimenti popolari e di resistenza: nel libro cerco di dare conto anche di questa storia.
Qual è il significato di questa data per i portoghesi oggi e come pensi che i portoghesi si relazionino con questa data cinquant’anni dopo, alla luce del l'affermazione di Chega, partito di estrema destra, alle ultime elezioni?
Per noi italiani è purtroppo un tentativo ormai familiare, per lo meno da trent’anni, quello di neutralizzare il fascismo. Oggi, questo tentativo compare anche in Portogallo, con l’emergere delle nuove destre e di una certa nostalgia per la Vecchia Signora, come tra i portoghesi oppressi dalla Pide si usava un tempo chiamare Salazar. Non credo che il fascismo, quel fascismo, stia tornando, ma c’è un fascismo come “modo di vivere”, come spiegava Umberto Eco, che attraversa la storia.
Ecco, dare voce a chi ha combattuto il regime di Salazar, a quelle vite che hanno preso posizione, è un modo, il più onesto che ho trovato, di rendere omaggio al 25 aprile portoghese, provando a far vedere come nasce un “modo di vivere” che rifiuta il fascismo in tutte le sue forme. E raccogliere le memorie di quelle vite, oggi, è anche una barriera verso chi tenta di neutralizzare, di confondere tutte le posizioni.
Penso appunto alla “guerra delle date”: in Portogallo cresce la volontà di rendere festa nazionale il 25 Novembre (data della fine del PREC, Processo Revolucionário em Curso), così come in Italia c’è chi propone di istituzionalizzare la proclamazione dell’Unità nazionale. Quello che mi colpisce non sono tanto le proposte in sé e per sé, quanto la volontà polemica che vi è dietro: come se il 25 aprile fosse una data “divisiva”. Certo che lo è stata, tra chi ha preso una posizione e chi ne ha preso un’altra.
Ma se ancora oggi lo è, il problema non è di chi lo festeggia, ma di quanti lo considerano appunto ancora divisivo. Perché ci sono forme di vita incompatibili: fascismo e democrazia lo sono.
E questo vale per il Portogallo, come per l’Italia.
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Una playlist
Nel podcast Canções de Abril, la redazione del giornale portoghese l’Expresso ripercorre la storia di sei canzoni che hanno fatto la Rivoluzione dei garofani.
So che non tutti i lettori e le lettrici di Ibérica parlano portoghese: per questo ho ricreato la stessa playlist su Spotify e raccolto un po’ di informazioni per permetterti di apprezzarle a fondo:
E depois do adeus di Paulo de Carvalho: primo segnale della Rivoluzione (il secondo e più celebre è Grândola, Vila Morena: trovi la sua storia qui), è una canzone d'amore scritta da José Niza a partire dalle lettere inviate alla moglie durante la guerra coloniale. Vinse il Festival della canzone del 1974 (il Sanremo portoghese) nella versione di Paulo de Carvalho.
Tourada di Fernando Tordo: vincitrice del Festival della canzone del 1973, potrebbe essere letta come una velata critica al regime: "Con banderillas di speranza / Abbiamo scacciato la fiera / Siamo nella piazza della primavera".
Maré alta di Sergio Godinho: poche canzoni hanno saputo anticipare con tanta precisione ciò che sarebbe accaduto il 25 aprile 1974: "Impara a nuotare, amico/ Che la marea si alzerà/ Che la libertà sta passando da questa parte/ Alta marea".
Menina dos olhos tristes di Manuel Freire: è in realtà una poesia composta da Reinaldo Ferreira sulla guerra coloniale e sul numero di morti che lasciò. Fu interpretata da numerosi cantanti, tra cui Manuel Freire, che la inserì nel suo LP Pedra Filosofal.
Exílio di Luís Cília. È un primo grido di resistenza della popolazione portoghese costretta all’esilio come Luís Cília, interprete della canzone che restò a Parigi dal 1964 al 1974 (la canzone faceva parte del suo primo album, Portugal-Angola - Chants de Lutte e non si trova su Spotify: la puoi ascoltare qui).
Una newsletter
, scrittrice e tour leader, ha scritto nella sua ultima newsletter un bellissimo racconto, sia personale che storico, del 25 aprile 1974 che ti consiglio di recuperare (armati di fazzoletti, io ne ho avuto bisogno!):È tutto per oggi!
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A venerdì,
Roberta
Grazie Roberta! Buon 25 aprile!
Puntata stupenda, come sempre! Grazie per i consigli di ascolto, sto studiando il portoghese da autodidatta ma ancora non capisco tutto 😅 un abrazo!