Sparire dalla faccia della terra
Sette anni fa, il Portogallo fu colpito dall’incendio più esteso e devastante della sua storia. Oggi, resta ancora molto da fare.
Ciao!
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Due cose:
la prima è che la newsletter della settimana scorsa è stata una delle più apprezzate di sempre. Mi sono divertita molto a scriverla, quindi grazie! (Se non l’hai letta, puoi recuperarla qui).
la seconda è che da questa settimana Ibérica entra in modalità estiva e quindi uscirà ogni due settimane, invece che ogni venerdì.
Iniziamo!
Sparire dalla faccia della terra
Quando João Carvalho si rese conto che l’incendio aveva raggiunto il suo villaggio, era già troppo tardi.
Nodeirinho, un paesino di circa 60 abitanti nel Portogallo centrale, era dall’altra parte del muro di fuoco. Insieme alla sua casa, i suoi animali, la sua cugina e i suoi amici.
João si rifugiò nella caserma più vicina, che iniziò a riempirsi di pompieri con ustioni gravi.
Provò a chiedere a qualcuno come fosse la situazione a Nodeirinho.
Un uomo gli disse: “Dimenticati di Nodeirinho. È sparito dalla faccia della terra”.
Sette anni fa, il Portogallo fu colpito dall’incendio più esteso e devastante della sua storia.
In quattro giorni, morirono 66 persone, bruciarono circa 500 case e venne rasa al suolo un’area di 53mila ettari di terreno.
Chiamarlo incendio, però è riduttivo: fu l’unione di sei roghi provenienti da due direzioni diverse che, verso le sette di sera del 17 giugno 2017, formarono un unico fronte a forma di V.
Alle otto, la colonna d’aria calda formata dall’incendio raggiunse i 13mila metri di altezza. E poi collassò.
Questo fenomeno è conosciuto come downburst: chi l’ha vissuto lo associa allo scoppio di una bomba: una palla di fuoco nel cielo scuro per il fumo, seguita da un vento fortissimo.
Tra le otto e le otto e dieci, l’incendio avanzò di circa due chilometri: in quei dieci minuti, morirono 47 delle 66 vittime totali.
Il Portogallo è il Paese europeo che ha subito il maggior numero di incendi che hanno superato i 500 ettari di estensione.
Perché? E perché, in particolare, l’incendio di Pedrógão Grande (dal nome di una delle località più colpite) è stato così devastante?
I fattori sono tanti, e riguardano clima, ambiente e politica:
Per iniziare, l’incendio è scoppiato dopo 19 giorni di siccità e temperature che superavano ogni giorno i 38 gradi.
È successo in una delle zone meno popolate del Portogallo, ovvero il Pinhal interior (la “pineta interna”). Di conseguenza, i roghi sono meno sorvegliati e incontrano meno ostacoli, come case o edifici.
Non solo: a dispetto del nome, il Pinhal interior ospita un grandissimo numero di eucalipti, alberi che tendono a crescere molto vicini l’uno all’altro e a produrre un olio altamente infiammabile.
Alberi che, però, hanno fatto la fortuna dell’industria del legno e della carta portoghese, grazie anche all’aiuto della dittatura di Salazar, che ne incentivò la diffusione, al punto che oggi il 25% delle foreste portoghesi è composta da eucalipti.
E Salazar si deve anche che la maggior parte dei pompieri portoghesi, per tanto tempo, fossero volontari: l’idea di autosufficienza del buon cittadino portoghese si estendeva infatti anche agli incendi. È solo dal 2003 che esiste un corpo professionale di pompieri in Portogallo, con tutte le conseguenze che porta con sé questo ritardo storico.
Quando tornò a Nodeirinho, José si accorse che la sua casa era una delle poche a non essere state raggiunte dal fuoco.
Un quarto degli abitanti del Paese era morto. Undici persone si erano salvate buttandosi in un serbatoio d’acqua. Ci restarono per più di sei ore, immergendosi quando le fiamme si avvicinavano troppo.
In risposta all’incendio, il governo socialista dell'epoca lanciò un programma d'azione nazionale che nel tempo ha dato alcuni risultati. Il numero degli incendi, ad esempio, è sceso del 50% dal 2017 a oggi.
A Nodeirinho e nei comuni vicini, però, resta ancora molto da fare.
Come ha ricordato il pompiere Rui Rosinha lo scorso 10 giugno, giorno in cui cade la festa nazionale del Portogallo, ai sopravvissuti dell’incendio “sono state promesse tante cose e ne sono state realizzate troppe poche sul territorio”.
Nonostante i fondi stanziati, infatti, alcune persone, come Alzira Luiz, stanno ancora aspettando che la loro casa venga ricostruita. Tante altre continuano ad avere bisogno di supporto psicologico per convivere con i traumi causati dall’incendio.
Sette anni dopo, insomma, Pedrógão Grande resta una ferita aperta per il Portogallo. Forse la più grande della sua storia recente.
Per approfondire:
La storia di José Carvalho viene raccontata nel documentario “Eis que fazem novas todas as coisas”, realizzato dalle giornaliste Liliana Valente e Sibila Lund per Público (in portoghese, con sottotitoli in portoghese);
L’incendio di Pedrógão Grande è stato raccontato anche in “From Devil’s Breath”, un documentario prodotto da Leonardo Di Caprio nel 2022;
Nel volume dedicato al Portogallo della collana Passenger di Iperborea trovi anche un bellissimo reportage su Pedrógão Grande scritto dal giornalista Scott Sayare per Harper’s Magazine;
E infine, qui trovi un approfondimento interattivo pazzesco (in spagnolo) realizzato da eldiario.es sui megaincendi in Europa, con tre storie da Grecia, Spagna e Portogallo.
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Roberta
Più che agli eucalipti (che nei boschi di proprietà delle cartiere sono tenuti puliti e curati, perché sono la fonte di reddito di una industria grande: basta andare a vedere quelle di Renova o Navegante) il problema è imputabile agli arbusti (cerquinha e altri “rastejantes”): basta una passeggiata in un bosco per rendersi conto che le foreste - specie quelle del demanio pubblico sono abbandonate, non viene fatta la pulizia come sulle Alpi, e che questi piccoli arbusti, dai frutti secchi, che si disperdono nell’aria, sono pericolosissimi.
Io non vado a fare escursioni in estate in Portogallo, la paura di rimanere intrappolata in un incendio è troppo grande.