Un mese senza elettricità
È successo a Barcellona nel 1919, in quello che da un paio di licenziamenti è diventato lo sciopero che ha portato la Spagna a essere il primo Paese europeo con la giornata lavorativa di 8 ore
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Nelle puntate precedenti: uno dei luoghi più significativi della brutalità del regime di Salazar in Portogallo, il campo di concentramento di Tarrafal, e un approfondimento sulla popolazione gitana in Spagna in collaborazione con
di .In questa: una storia che tiene insieme il blackout di lunedì e la Festa del lavoro di ieri.
Iniziamo!
Un mese senza elettricità
Alle quattro del pomeriggio, Barcellona resta senza luce.
I negozi chiudono, così come i cinema, i teatri e le banche. I tram restano paralizzati sui binari. I giornali rimangono stampati a metà nelle tipografie.
No, non sto parlando di lunedì scorso (anche se le somiglianze non mancano): siamo nel 1919 e a dare l’inizio a un blackout che durerà un mese sono i lavoratori della principale impresa elettrica di Barcellona.
Spengono le macchine per solidarietà con i colleghi licenziati, senza sapere che con quel gesto hanno appena dato il via a una delle più grandi proteste operaie della storia della Spagna.
A inizi del Novecento, Riegos y Fuerza del Ebro non è un’azienda qualunque.
È da lei che dipende l’elettricità che illumina le case e fornisce acqua ed energia alle fabbriche di Barcellona in un momento di grande espansione.
Di proprietà della Canadian Bank of Commerce di Toronto, è conosciuta anche come “La Canadenca” (la canadese, in catalano) o “Les Tres Xemeneies” (le tre ciminiere), dal profilo che ha la sua sede in città.
(Negli anni Cinquanta, la Candenca sarà una delle imprese che confluiranno in Endesa, quella che oggi è una delle tre grandi compagnie energetiche spagnole: le altre due sono Iberdrola e Naturgy e insieme compongono il 90% del mercato elettrico nazionale. Non solo: oggi il 70% di Endesa è di proprietà dell’Enel, il cui principale azionista, a sua volta, è lo Stato italiano).
E a proposito di giochi di potere, a far scoppiare le rivolte nel 1919 sono due eventi, avvenuti a chilometri di distanza.
Il primo è il licenziamento di numerosi dipendenti che lavoravano alla diga di Camarasa, che forniva luce ed elettricità a tutta l’area metropolitana di Barcellona.
Il secondo sono proprio le Tre ciminiere, dove otto dipendenti vengono licenziati per aver rifiutato un abbassamento dei loro stipendi.
Come gesto di solidarietà, un centinaio di altri lavoratori decidono di scioperare e l’azienda li licenzia in blocco. Il gesto attira l’attenzione dei sindacati, in particolare del CNT (Confederación Nacional del Trabajo, principale associazione dei sindacati anarchici spagnola), e del resto dei cittadini.
In pochi giorni, viene organizzato uno sciopero generale del settore elettrico. “Tutte le macchine e le linee elettriche furono scollegate e tutti i servizi furono paralizzati”, si legge nel Rapporto dell'Istituto per le Riforme Sociali (IMS) del 1919.
Barcellona resta al buio.
La risposta da parte delle aziende e delle autorità è feroce.
“Lo Stato sequestrò le fabbriche e cercò di ripristinare i servizi con l’intervento di ingegneri militari, che però non erano competenti quanto i lavoratori in sciopero”, ha spiegato in un’intervista lo storico Juan Cristóbal Marinello. “Ogni giorno che passava, altri settori si univano alle proteste, compresi gli operai delle fabbriche che non potevano funzionare senza corrente”.
Tra questi, i lavoratori dell’azienda che forniva il 90% dell’acqua alle case della città e i lampionai, che lasciarono nelle mani dei soldati il compito di accendere a mano i lampioni (che all’epoca andavano a gas).
Le autorità dichiarano lo stato di guerra, arrestano più di 3mila lavoratori e ne contrattano altri disposti a prendere il loro posto (i cosidetti esquiroles o rompehuelgas: in italiano li chiamiamo crumiri).

A più di un mese dall’inizio degli scioperi, il 19 marzo, all’interno dell’arena de toros di Barcellona (l’edificio dove si tengono le corride, oggi vietate in Catalogna), si riuniscono circa 20mila persone per ratificare le richieste dei lavoratori: aumento dei salari, giornata di otto ore, pagamento della metà dello stipendio per il periodo passato in sciopero e la liberazione degli arrestati.
È un momento di grande tensione, che si risolve grazie all’intervento del segretario generale del CNT Salvador Seguí (conosciuto anche come El Noi del Sucre, il ragazzo dello zucchero, per la sua passione per le zollette).
Dopo 44 giorni di sciopero, sembra tutto finito. Ma non è così.
Tre giorni dopo, un nuovo sciopero generale. Le autorità hanno accettato formalmente le richieste dei lavoratori, ma non hanno liberato quelli che sono stati arrestati. Il braccio di ferro continua.
Il 3 aprile 1919, infine, il re Alfonso XIII approva con un decreto la giornata lavorativa di otto ore. (La stessa per cui, il primo maggio 1886 fu organizzato uno sciopero generale negli Stati Uniti e motivo per cui esiste la Festa del lavoro).
La Spagna diventa il primo Paese in Europa in cui si lavora 48 ore a settimana.
Più di cento anni dopo, le Tre ciminiere restano in piedi, coperte di graffiti. Tra il 2012 e il 2024, infatti, su iniziativa dell’ex sindaco Xavier Trias, più di 25mila artisti hanno dipinto le loro opere sui muri della piazza su cui si affaccia l’ex sede della Canadenca.
Oggi, la piattaforma che gestiva questo spazio di graffiti legali ha chiuso, ma le opere si possono consultare a questo link. E per chi continua a dipingere sui muri delle Tre ciminiere restano 3mila euro di multa.
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So che alcune persone si aspettano qualcosa di più da parte mia sul blackout di lunedì. Ma in realtà, non ho molto da dire.
Ho giocato a carte in balcone. Ho cercato quante candele c'erano in casa. Ho ricevuto un messaggio in un gruppo WhatsApp che parlava di cyberattacco mondiale e sembrava una notizia della CNN (non lo era). Ho bussato alla mia vicina di casa di novant'anni per sapere se stesse bene (pensava di aver fatto un pasticcio con il contatore).
Quando l'elettricità è tornata nel quartiere, un bambino ha urlato come quando segna il Barça.
La sera, ho scoperto come avevano passato la giornata altre persone. Intrappolate in meteo, in treno, in stazione, in aeroporto. Oppure in piazza, al bar, in spiaggia. Ho letto racconti del terrore. Ho letto elogi alla vita lenta.
Delle poche cose che ho letto, visto o sentito e che mi sono piaciute, ti segnalo:
Un reportage da Cañada Real, il più grande insediamento composto da alloggi informali presente in Europa, a pochi chilometri da Madrid, dove l’elettricità manca da quattro anni (in spagnolo, gratis);
Il podcast El gran apagón (il grande blackout), ambientato nel 2018, che fino a pochi giorni fa era di fantascienza e ora non lo è più tanto (in spagnolo, visto nelle storie di Instagram di
). Su Movistar+ c’è anche la serie tv, qui il trailer;A me il blackout ha fatto ricordare un altro podcast, il thriller sonoro Titania (sempre in spagnolo): ne avevo parlato qui;
Il grande lavoro dei siti di fact-checking Maldita.es, Newtral e Verificat. (Fun fact: Per tenere informati i vicini, la redazione di Maldita.es ha usato questa lavagna);
Il ritorno della radio come unico mezzo di comunicazione, come dimostrano le foto scattate lunedì a Barcellona da Nicola Vasini (che è anche l’autore di un podcast che non c’entra niente con questa newsletter ma che consiglio lo stesso).
Non ho molto da aggiungere al racconto di lunedì, credo, se non che dal punto di vista politico, è stato un giorno cruciale.
Per Sánchez, il primo ministro spagnolo, che guida un governo di minoranza. Per Montenegro, il suo omologo portoghese, che è in piena campagna elettorale.
Sánchez, per ora, è quello che mi sembra uscito meglio, ma tutto dipende dal vero motivo del blackout.
In alcune zone del Portogallo, invece, il blackout è durato anche 12 ore. La rete di comunicazioni utilizzata dallo Stato nelle situazioni di emergenza ha reagito con lentezza (ma non è una novità). I generatori degli ospedali hanno dovuto essere riforniti d’urgenza per continuare a funzionare.
Montenegro afferma di aver gestito al meglio la situazione, ma l’opposizione l’ha criticato duramente.
Il 18 maggio si vota. Come per il blackout, per ora nessuna ipotesi è da escludere.
È tutto per oggi!
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A venerdì,
Roberta