Questa maledetta vongola
La specie che doveva risollevare le sorti dei pescatori del Tago ha portato alla creazione di una rete criminale internazionale. E a più di qualche problema di salute per i consumatori.
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Questa maledetta vongola
A Seixal, un paesino di pescatori a mezz’ora di macchina da Lisbona, esiste una leggenda che fa più o meno così.
Nel 2008, un abitante del villaggio va in Francia e scopre, con sorpresa, che lì la pesca non è in crisi come lungo l’estuario del fiume Tago.
E il motivo è la presenza di una specie di vongola che si coltiva in allevamento dagli anni Settanta e che ha lo stesso sapore di quella verace mediterranea.
L’uomo torna a casa, getta qualcuna di queste vongole nel Tago e aspetta.
Nel fiume, la nuova specie prolifera in maniera inarrestabile, per la (temporanea) gioia dei pescatori.
Quasi vent'anni dopo, però, di queste vongole, sui menù dei ristoranti portoghesi, non c’è traccia. E nessun pescatore si sognerebbe di farle mangiare ai propri figli.
Oggi, infatti, questa specie è sinonimo di una cosa sola: di problemi.
Questa era la leggenda: ora arriva, invece, la storia vera.
Secondo Paula Chainho, biologa del Marine and Environmental Sciences Centre (MARE), la vongola filippina arriva in Portogallo negli anni Ottanta, ma solo in alcuni allevamenti in Algarve. E si diffonde, con il tempo, anche negli estuari di altri fiumi, tra cui il Tago.
Il finale di entrambe le storie è lo stesso: tutti i giorni, quando la marea si abbassa, centinaia di persone - donne, uomini, bambini, famiglie intere - entrano nel Tago a raccogliere vongole.
La maggior parte sono persone migranti, che arrivano da Thailandia, Nepal, Malesia, Pakistan, India e Romania. Molte di loro vengono sedotte dalla prospettiva di un lavoro ben pagato all’estero e finiscono qui: a rischiare la vita, immerse nel fango.
Raccogliere vongole è un lavoro pericoloso: la marea è potente e sale in fretta. Per chi si immerge, con muta e bombola, lo è ancora di più: dopo due o tre ore in acqua, la sensibilità agli arti se ne va. Dopo quattro, si perde l’orientamento e la percezione del tempo.
Negli ultimi anni, almeno undici persone hanno perso la vita mentre raccoglievano vongole: annegate, asfissiate o in incidenti in barca, come è successo a inizio gennaio a due pescatori mentre sfuggivano ai controlli della polizia.
Perché farlo non è solo pericoloso: è anche illegale. E per un buon motivo.

“Le vongole sono come filtri. Attraverso un’unica vongola passano ogni giorno fino a venti litri d’acqua. La sporcizia contenuta nell’acqua e nei sedimenti si deposita nella loro carne e i residui di acidi e metalli vecchi di decenni provenienti da industrie tessili, cantieri, fabbriche di concimi, e vetrerie vengono così filtrati dalle vongole”.
spiega il giornalista Fabian Federl in un articolo per il media tedesco Reportagen.
Il fondale del Tago è inquinato e le mani e gli altri strumenti (rastrelli, draghe) che i pescatori usano per raccogliere le vongole non fanno che peggiorare le cose.
Nelle sue ricerche, Chainho ha rivelato la presenza di diversi tipi di batteri, tra cui l’Escherichia coli e numerosi enterococchi, oltre che di fosfati, solventi, coloranti, zinco, piombo, cadmio e mercurio. Per questo, il consumo di vongole filippine raccolte nel Tago può portare a diarrea, vomito e intossicazione da metalli.

Eppure, il traffico delle vongole filippine esiste, ed è molto redditizio, quasi più di quello della droga.
Dato che la raccolta non è controllata, non lo è neanche la sua esportazione. Il 90% del bottino finisce all’estero, soprattutto in Spagna, dove sono commercializzate come vongole galiziane o portoghesi.
Secondo le ultime stime del comandante della polizia marittima di Lisbona, Paulo Rodrigues Vicente, ogni giorno vengono raccolte nel Tago circa otto tonnellate di vongole filippine, per un valore complessivo per la criminalità organizzata di circa 24 milioni di euro all’anno.
Secondo Chainho, esiste un modo per limitare i danni - economici, ambientali, sociali - di questo fenomeno. Ma il governo non sembra voler ascoltarlo.

Nel 2019, un decreto legge portoghese ha dichiarato la vongola filippina una specie invasiva, proibendo la sua commercializzazione, a meno che non venisse redatto un “piano d’azione”.
Oggi il piano è pronto: l’hanno scritto Chainho e la sua squadra e garantirebbe la raccolta legale di questo mollusco in una zona del fiume controllata, priva di rischi per la salute umana.
Da più di un anno, però, è fermo sulla scrivania dell’Istituto nazionale per la conservazione della natura portoghese: senza il suo via libera, il piano non può passare al Consiglio dei ministri e diventare realtà.
Nel frattempo, gli agenti della polizia marittima, come il comandante Teixeira de Oliveira, protagonista del reportage di Federl, vivono una barzelletta.
Di notte, pattugliano il Tago alla ricerca di raccoglitori di vongole. Di giorno, li liberano dopo avergli fatto una multa che non pagheranno mai.
E, ancora peggio, liberano il bottino appena sequestrato in mare. Vongole che verranno di nuovo raccolte e poi sequestrate e poi ritorneranno nel fiume, in un ciclo infinito, che il comandante riassume così:
“Il nostro impegno principale è questa maledetta vongola”.
Per approfondire:
L’articolo di Fabian Federl per Reportagen è stato tradotto in italiano e incluso nel volume sul Portogallo della collana Passenger di Iperborea.
Se conosci il portoghese, questo reportage ti dà qualche dettaglio in più sul mercato nero delle vongole filippine e delle condizioni disumane delle persone che le raccolgono (non a caso si intitola: “Gli schiavi del fiume”).
Fun fact: la vongola filippina in portoghese si chiama amêijoa-japonesa, ovvero vongola giapponese. In ogni caso, è una specie diffusa anche in Italia, senza particolari problemi per la salute (anzi, da noi il problema sembra essere un’altra specie invasiva: il granchio blu).
La specie invasiva più comune (e rumorosa) di Barcellona sono invece i pappagalli verdi.
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Roberta
E pensare che ho letto su tanti giornali che noi vogliamo importare le vongole dal Portogallo per ripopolare gli allevamenti sul delta del Po!!
Speriamo che non siano le stesse....
Per vedere dal vivo, basta recarsi a Alcochete, nei parcheggi sotto i pini a pochi metri dalla spiaggia fluviale, e vedere un traffico di borse che vanno e vengono.
Venditori? Molti “ciganos”.
Acquirenti? Pochi clienti delle tascas dove un piatto di “ameijoas a bulhao paro” viene dato per pochi euro si chiedono da dove effettivamente arriva il prodotto. Ahimè.
I ristoranti seri (dalle tascas ai bistrot di lusso) ovviamente comprano tutto tracciabile. Ma ogni mattina si può assistere a questa strana compravendita.