Vivere in Portogallo, abortire in Spagna
Centinaia di donne portoghesi ogni anno attraversano la frontiera per abortire in cliniche private spagnole: ecco perché
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Per oggi, invece, iniziamo!
Vivere in Portogallo, abortire in Spagna
In un paio d’ore, la vita di Maria Andrade crollò completamente.
Era maggio 2023: Maria (pseudonimo di una donna portoghese che ha preferito non rivelare la sua identità al giornale Expresso) aveva appena scoperto di essere incinta di 18 settimane.
La decisione di abortire fu immediata, ma “il Portogallo era fuori discussione”, le disse la sua medica di base: la legge portoghese è una delle più restrittive dell’Unione europea e permette l’aborto solo fino a 10 settimane.
Per un momento, Maria pensò di rubare pillole abortive dalla compagnia farmaceutica per cui lavorava. O di cercare una levatrice che potesse provocarle un aborto con dei ferri da maglia, come si faceva una volta.
La medica le suggerì di abortire in Spagna, in una clinica di Badajoz, a due ore di macchina da Lisbona. Lì l’aborto è legale fino a 14 settimane o 22 in caso di rischio per la vita della donna o del feto.
Maria oggi ricorda l’operazione, che le costò 1.900 euro, come una “telenovela messicana surreale durata cinque giorni”. E ricorda, soprattutto, “i 250 chilometri che mi hanno resa davvero padrona del mio corpo”.
Maria è una delle 530 donne portoghesi che nel 2023 hanno abortito nelle cliniche spagnole di Badajoz e Vigo, a pochi chilometri dalla frontiera.
Ma ne esistono altre: altre due cliniche, una in Andalusia e l’altra in Galizia, hanno confermato il fenomeno, senza rivelare numeri precisi. Una fonte dell’Expresso ha riferito dell’esistenza di diverse cliniche frequentate da donne portoghesi a Madrid.
I dati ufficiali del ministero della Sanità spagnolo rivelano anche che nel 2023 1.171 donne con la cittadinanza europea hanno abortito in Spagna. Di queste, non si sa quante siano portoghesi.
La storia di Maria è un’eccezione: nei due centri di Vigo e Badajoz, la maggior parte delle interruzioni volontarie di gravidanza (IVG) riguarda donne incinte fino a 14 settimane. I prezzi vanno dai 1200 euro in su e aumentano con il numero di settimane di gestazione. Negli ultimi cinque anni, nella clinica di Vigo, il numero di pazienti portoghesi non è mai stato inferiore a 300.
“Le donne che vengono in Spagna sono quelle che hanno la possibilità economica di farlo, una situazione che penalizza quelle che invece non ce l’hanno”, ha dichiarato a RTVE Rui Marques, direttore medico della clinica di Badajoz.
La situazione è ancora più grave per chi vive negli arcipelaghi di Madeira e delle Azzorre, due delle regioni storicamente più povere del Portogallo, che ai costi della procedura devono aggiungere quelli dei voli.

La legge portoghese autorizza l’aborto entro le 16 settimane in caso di stupro o violenza sessuale (anche senza denuncia) ed entro le 24 in caso di malformazioni e in qualsiasi momento in caso di rischio di morte o lesioni gravi, mentali o fisiche, della gestante.
È una legge che ha una storia interessante: il primo referendum sull’aborto in Portogallo risale infatti al 1998 e fu un fallimento.
Nonostante la normativa fosse stata approvata dal parlamento, il primo ministro António Guterres (oggi segretario dell’ONU) tradì i suoi compagni socialisti per allearsi con il leader di centrodestra, l’attuale presidente della Repubblica, Marcelo Rebelo de Sousa. I due erano molto amici (e molto cattolici) e insieme difesero il no. Guadagnarono 50mila voti in più del sì.
La depenalizzazione definitiva arrivò nel 2007, con un nuovo referendum, durante il governo di un altro socialista, José Sócrates. Da quando è alla guida dell’ONU, Guterres ha cambiato opinione sull’aborto e ora lo sostiene apertamente.
Tra il 2018 e il 2022, le procedure di IVG realizzate sono state 7.041 in meno delle visite di accertamento necessarie per accedere alla procedura.
In almeno 1.366 casi, le autorità sanitarie portoghesi hanno potuto accertare che l’IVG non è stata realizzata perché era stato superato il limite di settimane stabilito dalla legge.
Ma il numero di settimane entro le quali abortire non è l’unico limite: a peggiorare la situazione ci sono i luoghi tempi di attesa, l’alta percentuale di obiettori e lo stigma.
“Questo ospedale è amico dei bebé, quindi non facciamo aborti, capito?”, ha spiegato un’operatrice a una giornalista del Diário de Notícias che nel 2022 ha realizzato un’inchiesta sull’IVG in Portogallo.
Lo stesso giornale ha riportato anche la testimonianza di Patrícia: “La prima visita per iniziare il percorso pre-IVG mi è stata fissata a 26 giorni da quando l’ho chiesta, più di cinque volte il limite massimo stabilito per legge”, ha raccontato. Un lasso di tempo al quale in Portogallo si sommano i tre giorni del "periodo di riflessione”, obbligatorio per legge (che esiste anche in Italia ed è di almeno 7 giorni).
All’interno del servizio sanitario portoghese inoltre lavorano almeno mille medici e infermieri obiettori di coscienza (unici dati disponibili, del 2023), il che rende impossibile abortire in almeno dieci ospedali pubblici del Paese.
Per questo, molto spesso in Portogallo le donne che vogliono abortire vengono indirizzate verso cliniche private, a spese dello Stato. “Se la clinica dos Arcos non esistesse, ci sarebbe un gravissimo problema nella gestione dell’IVG a Lisbona”, ha dichiarato il direttore dello stabilimento a EFE: la clinica gestisce infatti il 30% delle procedure realizzate ogni anno nel Paese.
Sempre a EFE, Laura (nome fittizio di una donna argentina residente nella regione dell’Algarve), ha raccontato che, durante l’ultima visita prima della procedura, la dottoressa le aveva chiesto se fosse venuta fino in Portogallo per abortire.
“Mi ha detto: quella che prenderai è una bomba creata per uccidere un essere umano. Spero che tu non venga mai più qui per abortire e di vederti qui la prossima volta con un neonato in braccio”, ha raccontato.
A inizio gennaio, il parlamento portoghese ha bocciato una proposta di riforma della legge sull’aborto che prevedeva l’aumento del limite a 12 settimane (il partito di sinistra Livre ne aveva proposte 14), l’eliminazione del “periodo di riflessione” e regole più severe per il personale sanitario obiettore di coscienza.
A pesare sono stati i voti contrari del Partido Social Demócrata (centrodestra, guidato da Luís Montenegro, attuale primo ministro), di Chega (estrema destra) e del CDS-Partido Popular (destra democristiana).
Il CDS, in realtà, ha addirittura proposto un nuovo referendum per abolire la legge o imporre tasse a chi vuole abortire (com’è già successo il Portogallo tra il 2015 e il 2016). Montenegro ha liquidato entrambi i tentativi, sia la nuova proposta della sinistra che quella dei democratici, dichiarando che l’aborto è una “questione risolta” in Portogallo.
Anche se i dati - quelli delle donne che vanno fino in Spagna per abortire, del personale obiettore, del divario tra le visite e le procedure realizzate - dicono il contrario.
Per approfondire:
Questo editoriale di Lúcia Pestana solleva un punto importante: la legge portoghese sull’aborto è in realtà un articolo del Codice penale e può essere applicata solo se le donne rispettano una serie di requisiti. In questo senso, “il modello normativo portoghese è quella della criminalizzazione con eccezioni”.
Tra i motivi che rendono abortire in Portogallo così difficile c’è anche la crisi generale del servizio sanitario nazionale, caratterizzata dalla mancanza di personale, scarsa modernizzazione e incapacità di proporre riforme efficaci. Un’importante cartina tornasole del fenomeno sono le difficoltà che affrontano le donne incinte, che spesso devono informarsi su quale ospedale sarà in grado di aiutarle a partorire e, a volte, fare lunghi tragitti per raggiungerlo.
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Un consiglio per chi vive a Barcellona e dintorni (o verrà qui in viaggio): la Putiruta è un tour guidato sulla vita delle sex worker della città, dal Seicento a oggi. A tenerlo è Violeta, una donna trans, ex sex worker, attrice e consulente per progetti che promuovono l’uguaglianza. Io l’ho fatto un paio di settimane fa e mi ha davvero aperto gli occhi sulla vita, di oggi e di ieri, di chi fa lavoro sessuale, sia per scelta che perché vittima di tratta o sfruttamento. (Due disclaimer: uno, non ci guadagno niente a consigliarlo, lo faccio perché mi è davvero piaciuto. E due, lo consiglio a chi conosce bene lo spagnolo e un po’ di storia della Spagna, perché è un po’ impegnativo).
Para 🎧
A inizio febbraio si è tenuto il festival PODES, l’unico festival dedicato al podcasting in Portogallo. Qui una personale selezione dei titoli migliori, tra vincitori e finalisti: E os Rios São Rios enfim, quindici storie della buonanotte per adulti; Um Género de Conversa, podcast femminista di riferimento, il cui ascolto “potrebbe tornare utile agli uomini”, secondo la sua bio su Instagram; Portugal negro, sulla storia dimenticata delle persone nere in Portogallo (e in generale tutti i podcast della serie Sapiens di Bruà Podcast sono molto interessanti).
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Roberta
La grandissima crisi del sistema sanitario nazionale portoghese è una bomba ad orologeria: ormai ci sono attese di mesi anche nelle cliniche private - per qualsiasi procedura. Moltissimi portoghesi e tutti gli stranieri residenti optano per assicurazioni private ed anche così, le attese sono estenuanti (più di una volta ho dovuto ricorrere a conoscenze personali per avere appuntamento a giro breve, sempre in clinica privata).
Bellissimo articolo - e complimenti per aver catturato anche i drammi di Azzorre e Madeira.