Breve storia del Primavera Sound, il festival complessato
Da Barcellona al mondo e da Madrid al cielo (o quasi)
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Breve storia del Primavera Sound, il festival complessato
La Barcellona che conosciamo - vibrante, cool e cosmopolita - ha compiuto trent’anni l’anno scorso.
La sua data di nascita coincide con l’inizio delle Olimpiadi del 1992, il rilancio internazionale della città dopo i durissimi anni della dittatura franchista.
Dietro all’incredibile successo del big bang olimpico, però, si nasconde quella che il giornalista spagnolo Nando Cruz ha definito una “città complessata”, che nell’impossibilità di vincere la storica rivalità con Madrid sceglie quindi di corteggiare il resto del mondo.
La stessa scelta che fino all’anno scorso aveva caratterizzato anche uno dei principali eredi di quel periodo e di quei “complessi”: il Primavera Sound.
Da Barcellona al mondo
Il Primavera Sound nasce nel 1994 come microfestival dell’indie spagnolo in uno degli ex-quartieri operai di Barcellona, El Poble-sec.
Nei sette anni successivi, gli organizzatori si rendono conto che la clientela locale non basta e, soprattutto, che non ha il potere d’acquisto sufficiente per mantenere a galla il festival.
A inizi del Duemila il Primavera Sound cambia pelle e diventa un macrofestival urbano che ha come stella polare i gusti di un pubblico internazionale.
Per accogliere questo nuovo pubblico, nel 2005 si sposta nel Parc del Forum, un enorme complesso di strutture e spazi aperti costruito in un’area della città in cui in passato le truppe franchiste hanno fucilato più di 1700 persone.
Il turismo internazionale salva il festival, ma tramortisce il circuito musicale della città: i concerti in sala sono sempre meno perché non possono competere con i cachet e le esclusive imposte dal macrofestival, le persone che lavorano nel settore vengono risucchiate dai suoi bisogni e lo stesso vale per le sovvenzioni municipali e l’attenzione dei media.
Come spiega bene Nando Cruz, “un macrofestival è un modello estrattivo: sfrutta le infrastrutture locali, le reti di comunicazione, i servizi pubblici e il capitale simbolico della città (tutti valori finanziati con le tasse della cittadinanza) e, in cambio, porta occupazione (solitamente sottopagata) e ricchezza (a una fetta limitata del settore imprenditoriale)”.
Ciononostante, il Primavera Sound esporta lo stesso modello prima a Porto nel 2013 e poi a Los Angeles, São Paulo, Buenos Aires e Santiago de Chile nel 2022, grazie anche all’acquisto di parte delle sue azioni dal fondo d’investimenti statunitense The Yucaipa Companies.
Da Madrid al cielo (o quasi)
Dopo la criticatissima doppia edizione del 2022 a Barcellona, per il 2023 gli organizzatori decidono di sognare ancora più in grande: due date a Barcellona e una Madrid - un passo enorme per questo “festival complessato” - per poi arrivare in autunno a Buenos Aires, São Paulo, Bogotá e Asunción.
Il comune di Barcellona frena gli entusiasmi degli organizzatori sulla seconda data e loro minacciano di andarsene definitivamente (sottinteso: andarcene per sempre a Madrid).
Alla fine restano e l’unico weekend a Barcellona è un grande successo, con circa 253.000 partecipanti (che sono più o meno gli abitanti di Verona, per capirci).
Lo stesso non si può dire per la sua versione madrilena, soprattutto a causa della location: la Ciudad del Rock di Arganda del Rey, situata a circa 30 km dalla capitale.
La prima serata viene annullata per il maltempo: di temporali nemmeno l’ombra, ma il recinto è ancora pieno di fango e pozzanghere dai giorni precedenti e non è stato ripulito in tempo.
Le protagoniste delle ultime due sono invece le code per arrivare e tornare da Arganda, sia nei pochi Uber, Bolt e taxi che nei pochissimi bus di linea: dopo essere uscita dal festival alle quattro, una ragazza che ho intervistato mi ha raccontato di essere riuscita a tornare in hotel alle 10 di mattina.
Su Twitter non mancano storie simili (e meme ad hoc).
“La cosa più difficile per questi macroeventi musicali non è definire un marchio, imporlo sul mercato, mantenere appeal nel corso degli anni o rinverdire l’età del pubblico”, spiega infatti Cruz.
“La cosa più difficile è capire quando smettere di crescere”.
E in Italia?
L’Italia non è un Paese per macrofestival, come prova a spiegare Il Post in questo articolo, e anche sul turismo musicale in generale potremmo fare di meglio.
(In compenso, o forse proprio per questo motivo, siamo il primo paese dopo la Spagna per vendite dei biglietti del Primavera Sound).
Per approfondire:
I virgolettati del giornalista musicale Nando Cruz sono tratti dall’articolo “La città dei festival”, tradotto in italiano nel volume su Barcellona della collana Passenger di Iperborea;
Un’intervista al co-fondatore del Primavera Sound Gabi Ruiz sul fondo di investimento statunitense che possiede il 29% delle quote del festival e sul perché le persone non vanno più nelle sale da concerti;
Che impatto avrà il Primavera Sound sui circuiti musicali sudamericani? Il giornalista messicano Richard Villegas prova a fare qualche ipotesi.
Il passato non troppo glorioso della Ciudad del Rock di Arganda, fatto di speculazione e altri festival venuti malino.
Grazie a Elisa, Francesco e tutte le persone che mi hanno raccontato il loro Primavera Sound.
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